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giovedì 9 dicembre 2010

Mario Giacomelli - ' Verrà la morte e avrà i tuoi occhi'

Mario Giacomelli è uno dei più grandi fotografi italiani, naque a Senigallia il 1° Agosto 1925. Inizia nel 1938 a lavorare presso la Tipografia Marchigiana come garzone. Nasce l’interesse per l’arte e le prime prove pittoriche. Muore nel 2000.

Tecnica fotografica
Giacomelli utilizzò delle tecniche estranee all'atto fotografico non per nascondere o annullare la realtà,ma per trasformarla dato che il suo scopo era quello di offrire una rappresentazione della realtà così come essa appare ai suoi occhi,lasciando una traccia di realtà che deve essere codificata dal fruitore.

Giacomelli sa già, prima di scattare, cosa salvare e cosa eliminare sia in fase di scatto che di sviluppo. Tale approccio fotografico si colloca nella tematica dell'indice in cui ogni intervento di rielaborazione non distrugge l'essenzialità della foto se questa rimarrà sempre un indice, senza decodificarsi completamente.

Egli dice che vuole rendere quello che ha dentro se piuttosto che ciò che vedeva, per cui è interprete del proprio tempo, si limita a portare in rilievo elementi della realtà, che meritano di essere raccontati, lasciando agli elementi stessi la possibilità di essere visti per quello che sono. 

''Verrà la morte e avrà i tuoi occhi''
Dal 1966-1968, la produzione ''Verrà la morte e avrà i tuoi occhi'' è la visione fotografica di Cesare Pavese: immagini portate al limite dell'astrazione; la carne viene "bruciata" dal lampo del flash e le rughe dei volti sono le stesse della terra, le immagini rarefatte sono pervase da un profondo lirismo liciniano.
"Non è facile fotografare la vita d'ospizio...Quella mamma che aspetta il figlio da tre anni e che mi prende la mano quando le porto le caramelle per vederla per un attimo felice e che dice che il figlio ha tanto da fare che non può venire a trovarla...Vado all'ospizio per un mio bisogno interiore. In alcune immagini con il bianco ho tolto la materia, togliendo i particolari distruggo la realtà; le deformazioni, le sfocature tolgono il troppo vero per rimuovere la poesia. Non ho fatto belle immagini, mi sono solo nascosto in un posto che altri chiamano ospizio e che per me era un grosso specchio che permetteva di guardarmi dentro...sentivo quindi che le mie paure non erano cose inventate ma cose che io già vivevo e delle quali ero prigioniero".

Come descrivereste questa produzione fotografica di Giacomelli? Che colore vi passa per la mente? Nero come la morte? Verde come una speranza che potrà arrivare? Bianco come un foglio vuoto o che rispecchia 'il nulla'? Spetta a voi decidere!

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