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domenica 28 novembre 2010

La moda cambia nel tempo, ma ... non passa mai di "moda"

Il termine moda indica uno o più comportamenti collettivi con criteri mutevoli. Questo termine è spesso correlato al modo di abbigliarsi e deriva dal latino modus, i, che significa maniera, norma, regola, tempo, melodia, ritmo. Nei secoli passati, l'abbigliamento alla moda era appannaggio delle sole classi abbienti soprattutto per via del costo dei tessuti e dei coloranti usati, che venivano estratti dal mondo minerale, animale e vegetale. Prima dell'Ottocento, l'abito era considerato talmente prezioso che veniva elencato tra i beni testamentari. I ceti poco abbienti erano usi indossare solo abiti tagliati rozzamente e, soprattutto, colorati con tinture poco costose come il grigio. A questi aggiungeva scarpe in panno o legno. Non potendo permettersi il lusso di acquistare abiti nuovi confezionati su misura, tali classi ripiegavano spesso sull'abbigliamento usato. La moda, detta anche storicamente costume, nasce solo in parte dalla necessità umana correlata alla sopravvivenza di coprirsi con tessuti, pelli o materiali lavorati per essere indossati. Più legato alla psicologia è l'aspetto del mascheramento. Gli abiti possono servire a nascondere lati della personalità che non si vogliono far conoscere o, viceversa, a mostrarli. Si pensi al proverbio: "l'abito non fa il monaco". Anche la moda ha una storia. La moda cambiava anche in base alle epoche.
Dal 1900 al 1918
Dai tempi del re Sole dire moda voleva dire Parigi. Attorno al 1910 il sarto più in vista fu Paul Poiret che, stanco dei colori pallidi e della linea a clessidra dello stile ottocentesco, inventò una donna priva di busto che indossava abiti a vita alta e dai colori vivaci. Usava sete, velluti, damaschi, accostava viola e rosso, blu e rosa pallido. Fu il primo ad aprire una scuola per figuriniste, ad organizzare corsi di andatura, a creare il pret-à-porter, a fabbricare gli accessori, dai profumi alle borse. 
L'Inghilterra continuava invece ad essere il modello dell'eleganza maschile. L'uomo però rimase legato ai tradizionali abiti ottocenteschi: giacca, gilè, calzoni e camicia. I soprabiti invernali erano vari, mentre tra gli abiti da cerimonia, ancora diffusissimi erano il frac,  il tight e lo smoking, noto come abito da fumo e diventato poi capo elegante. I colori erano scuri, la camicia, rigorosamente bianca, col collo rigido e inamidato. Per mantenere la biancheria sempre perfettamente pulita, collo e polsini erano separati dalla camicia vera e propria.








Dal 1920 al 1930
Il nuovo modello femminile fu la ragazza magra, senza più fianchi né petto, con uno sfrontato piglio mascolino e i capelli cortissimi alla “Garçonne”. La moda volle gonne sempre più corte e abiti spesso tagliati di sbieco, invenzione che sembra si debba a Madeleine Vionnet. Tuttavia, prima di arrivare all'orlo sotto al ginocchio, vennero inseriti pannelli triangolari che rendevano la forma dell'abito asimmetrica. Alla fine degli anni venti si affermò lo stile bebè, con gonne al ginocchio, scarpe col cinturino, cappelli a “Cloche”. La moda propose un nuovo modo di intendere l'abito: pratico, semplice, di costo contenuto, elegante. Antesignana di questo nuovo modo di vestire fu Gabrielle Coco Chanel. Fu lei che lanciò l'abito in jersey corto, imponendo questo tessuto povero anche per il tailleur, una delle sue creazioni caratteristiche. Sempre lei semplificò la linea dell'abito da sera inventando un lineare tubino nero. Fu la prima a lanciare i gioielli fantasia in vetro colorato, l'abbronzatura e il profumo legato alla sua linea, il famosissimo Chanel N°5. Non disdegnava di portare i calzoni, ancora tabù per le donne.
La moda maschile rimase nei binari rassicuranti che si era scelta. Tuttavia un certo tono sportivo e disinvolto si insinuò nelle giacche dai larghi revers, nei pantaloni con le pinces, nei gilè di lana stile golf. Comparvero i primi trench impermeabili e tornarono i pantaloni alla zuava o knikerbokers indossati con calze scozzesi. Grande novità furono l'introduzione del colletto floscio per la camicia e il modello botton down con due bottoncini che assicuravano le punte alla camicia.
Tra il 1929 e il 1932 una crisi mondiale violentissima spazzò l'economia. Panico e disperazione si abbatterono sul mondo, anche la moda ne fu colpita. Una conseguenza della crisi fu la necessità di usare filati di minor pregio: si diffusero così le fibre sintetiche, come il rayon o il nylon. Quest'ultimo, in particolare, sostituì la seta con cui fino ad allora erano state fatte le calze.

Dopo il 1930 l'ideale femminile diventò più aggraziato e copiò le star di Hollywood: la donna ideale era longilinea e femminile, portava tacchi alti e si tingeva i capelli. Al contrario, nell'Italia del Regime si cercò di lanciare una bellezza formosa e mediterranea. La linea delle vesti negli anni trenta mutò: la vita tornò al punto naturale, gli abiti si allungarono sotto al ginocchio e si aprirono in piccole pieghe e pannelli. D'inverno si preferivano lunghi cappotti con immensi colli di volpe. Per il giorno trionfò il tailleur, mentre le spalle diventarono quadrate a causa di imbottiture nascoste. Il pantalone si insinuò gradatamente nella moda, specie negli abiti sportivi e nei completi estivi. I vestiti da sera, ultra femminili, si allungarono nuovamente fino ai piedi, con scollature vertiginose sulla schiena. Negli ultimi anni precedenti la guerra l'abito si accorciò e allargò, mentre lo stile diventò più romantico, con incrostazioni di ricami e paillettes. Per le vesti da sera si usarono tessuti leggeri e fruscianti.

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